
20 Mag Piano energia clima, tempi stretti e tasselli mancanti
Se vogliamo rimettere con i piedi per terra la proposta di Piano nazionale integrato energia e ambiente (Pniec), andrebbe prestata maggiore attenzione alle non poche eredità del passato, che è essenziale modificare. La realizzazione del Piano nei tempi previsti richiederà infatti una serie di azioni simultanee e coordinate, da realizzare con la necessaria tempestività, cioè un modus operandi che trova scarsi riscontri nell’esperienza pregressa. È ad esempio esemplare quanto accadde a valle dell’approvazione del protocollo di Kyoto, che nel settore energetico per la prima volta assegnò al nostro paese obiettivi vincolanti, da raggiungere entro una scadenza temporale altrettanto vincolante. Allora, per esorcizzarne l’attuazione, fonti governative fecero circolare dichiarazioni secondo le quali era inutile affannarsi per realizzare quanto previsto dal protocollo, dato che non si sarebbe mai raggiunto il quorum di ratifiche da parte degli Stati firmatari, necessario per la sua entrata in vigore. Con la ratifica russa il protocollo divenne operativo il 16 febbraio 2005, obbligando l’Italia a una rincorsa frettolosa, di conseguenza caotica, per ricuperare il tempo perso, di cui i consumatori di energia elettrica pagano tuttora le conseguenze. Con il pacchetto 20/20/20 ci andò meglio. Fummo salvati da un’indagine Istat, che rivalutò l’energia termica prodotta bruciando legno in misura tale da consentirci di raggiungere l’obiettivo 2020 già nel 2015, quasi per intero con il solo contributo delle rinnovabili elettriche. Per bypassare le sfide poste dal Pniec, non credo che siano ancora disponibili altri tesoretti statistici o che l’odierna situazione economica consenta di caricare sulle spalle dei consumatori il costo dovuto a ulteriori ritardi nel rispetto delle scadenze programmatiche. A tutt’oggi, però, accanto a qualche cambio di passo, continuano a verificarsi casi di inadempienze. È emblematica la vicenda dei decreti sulle rinnovabili. Il primo è ancora oggetto di trattative tra Roma e Bruxelles, mentre del secondo – relativo alle tecnologie innovative – non è disponibile nemmeno una bozza preliminare. Si tratta di norme che, per legge, dovevano essere varate nel 2016, e di cui si sono in successione occupati ben tre diversi governi. Certamente sarà più semplice indire le aste competitive – uno dei due strumenti principali per realizzare i futuri investimenti in rinnovabili elettriche (l’altro è il Ppa) – perché riguarderanno principalmente l’eolico e il fotovoltaico utility scale, entrambi non incentivati, ma non si possono escludere del tutto incidenti di percorso. Innanzi tutto, a indirle sarà pur sempre un’istituzione pubblica, che ne stabilirà la frequenza e la capacità messa in gara: anche una sua maggiore efficienza non eliminerà il rischio derivante dal succedersi di maggioranze politiche con orientamenti diversi sui temi energetico-ambientali. Inoltre, le modalità dei bandi saranno ancora soggette al controllo della Commissione europea, per verificare che non contengano misure configurabili come aiuti di stato, quali sarebbero ad esempio un periodo di ritiro dell’energia eccessivamente lungo e/o contingenti troppo elevati. Ancora più incerta è stata finora la tempistica del permitting, in cui è centrale il ruolo delle Regioni, ma la partita decisiva si gioca a livello locale, dove è determinante l’atteggiamento dell’amministrazione comunale, in particolare quando si registrano opposizioni all’insediamento proposto. In proposito, vi sono alcuni segnali positivi. All’attenzione di Terna nei confronti del territorio ho dedicato parte del mio intervento della settimana scorsa sulla Staffetta, ma va sottolineato l’analogo impegno del Gse. L’accordo di collaborazione stipulato con la Regione Sicilia prevede anche interventi di assistenza ai Comuni e si inserisce in un più ampio percorso di affiancamento e supporto alle Regioni italiane, con l’obiettivo di sviluppare le fonti rinnovabili in un’ottica di integrazione con i singoli territori e di valorizzarne le peculiarità. Altrettanto importanti per la riuscita del Pniec, sono gli impegni per realizzare un’efficace cooperazione tra operatori privati e strutture pubbliche, che vedono di nuovo in prima fila Terna (Staffetta del 10 maggio) e Gse, dove il nuovo vertice ha rilanciato una politica di collaborazione e di coinvolgimento con gli stakeholder, che negli anni precedenti si era sensibilmente ridotta. Mentre le intese tra Gse, Terna e operatori possono dare a breve i primi frutti, i tempi richiesti perché l’attenzione al territorio riesca a influire sugli atteggiamenti delle popolazioni e delle istituzioni pubbliche (Comuni, Regioni) coinvolte, saranno sufficientemente corti da risultare in sintonia con le scadenze dettate dal Pniec? Sul permitting saranno altresì della massima importanza le iniziative del governo, soprattutto se riusciranno a convincere le Regioni a definire in tempi brevi la mappa delle aree dove motivatamente non si potranno installare impianti a fonti rinnovabili, con criteri per la loro individuazione il più possibile omogenei. Le risorse per realizzare i 185 miliardi di investimenti previsti dal Pniec sono ingenti, ma reperibili, purché si creino condizioni al contorno che rassicurino il mondo della finanza e delle imprese. Condizioni irrealizzabili senza eliminare queste ed altre scorie del passato.
Fonte: Staffetta Quotidiana.it