L’idrogeno verde per il rilancio dell’Italia più svantaggiata

L’idrogeno verde per il rilancio dell’Italia più svantaggiata

In questi giorni si sono poste le basi per costruire l’Italia del futuro, nel quadro degli aiuti europei legati al Recovery Fund. Oltre a rimediare ai danni immediati provocati dalla pandemia del coronavirus, il programma denominato “Next Generation EU” si focalizza sulla ripresa guidata dagli investimenti in settori, quali le infrastrutture ed i trasporti sostenibili, e in tecnologie fondamentali, come quelle legate all’idrogeno “verde” in quanto ottenuto da fonti rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico) e a zero emissioni di CO2.

Mentre la Germania vara un piano da 9 miliardi di euro per favorire lo sviluppo di un’industria nazionale incentrata sull’idrogeno, mentre la Commissione Europea si appresta a promuovere strategie sull’integrazione settoriale che faranno di queste tecnologie uno dei pilastri della transizione energetica verso la decarbonizzazione in atto a livello globale, il rischio è che si ripeta quanto già accaduto con l’eolico e il solare, con il nostro Paese che diventa un mercato di rilevanza mondiale ma la tecnologia usata (ed incentivata) è tutta in mano ad aziende straniere.

È per questo che un membro del G7 come l’Italia deve al più presto porre le basi per favorire la nascita di distretti tecnologici nazionali capaci di attrarre attività industriali e di ricerca, e favorire investimenti volti allo sviluppo di nuove attività manifatturiere per la produzione:

  • di elettrolizzatori, ossia i macchinari per la produzione di molecole di idrogeno con la scissione dell’acqua tramite elettricità;
  • di pile a combustibile per il settore dei trasporti pesanti e leggeri: anche dette “fuel cell”, sono dispositivi che forniscono corrente elettrica tramite la reazione elettrochimica di idrogeno e ossigeno, facilitata ed accelerata da un catalizzatore realizzato in materiale polimerico, senza che avvenga alcun processo di combustione;
  • di mezzi di trasporto i cui motori elettrici possono essere alimentati dalle Fuel Cell a idrogeno (FCEV“Fuel Cell Electric Vehicle”) come tram, treni, bus, automobili, navi, droni; questi mezzi ibridi non necessitano di grandi batterie e quindi viene drasticamente ridotta la dipendenza da nichel, cobalto, litio (i cui giacimenti mondiali sono in concessione per il 90% alla Cina, che detiene anche il know-how del processo industriale). Inoltre, non generano le esternalità negative legate allo smaltimento delle batterie;
  • di impianti pilota per le attività siderurgiche al fine di sostituire gli altiforni tradizionali a carbone verso un mix energetico a minore impatto ambientale, dove l’idrogeno gioca un ruolo di primo piano.

Non stiamo parlando di fantascienza, per questo vogliamo ora concentrarci sulla mobilità a idrogeno su rotaia: sempre per paragonarci con i nostri vicini tedeschi, dal settembre del 2018 i treni a idrogeno nella Bassa Sassonia sono regolarmente in servizio, mezzi silenziosi la cui unica emissione è costituita da vapore e acqua di condensa.

Ora abbiamo una grossa opportunità da sfruttare per colmare il gap degli investimenti infrastrutturali di cui l’Italia soffre storicamente: alcune tratte ferroviarie delle aree interne appenniniche del Centro-Sud Italia sono oggi percorse da vecchi treni diesel inquinanti e giunti a fine vita, che possono essere sostituiti con treni elettrici bimodali alimentati a idrogeno, in grado di viaggiare autonomamente su linee non elettrificate e captare l’energia di trazione su quelle elettrificate.

Da un lato, ciò stimolerebbe la crescita e lo sviluppo di realtà locali nella produzione e distribuzione di un vettore energetico pulito ed indispensabile alla transizione energetica, da fonti rinnovabili come il solare e l’eolico nel Sud Italia e l’idroelettrico nel Centro Italia. Dall’altro, permetterebbe di elettrificare le tratte ferroviarie senza necessariamente ricorrere alle ingombranti linee aeree di contatto e ai fili di catenaria, generando significativi risparmi nella fase di investimento e garantendo al contempo la massima sostenibilità ambientale delle opere infrastrutturali da riqualificare o da costruire ex-novo.

In questo modo si eviterebbero tutte quelle opere infrastrutturali onerose ed invasive previste in progettazione e indispensabili per l’elettrificazione tradizionale delle linee, come l’adeguamento e l’allargamento delle gallerie ferroviarie, a volte di fine Ottocento, con nuove gallerie di cemento armato, che richiederebbero anni di cantieri. Questo approccio vale anche per le altre tratte da costruire, sia quelle già previste dal Contratto di Programma, sia quelle per le quali sono in fase di valutazione possibili studi di fattibilità.

Pensiamo ad esempio alle aree colpite dai terremoti del 2009 e del 2016: infrastrutture ferroviarie sostenibili nuove o riqualificate, come linee percorse da treni a idrogeno, darebbero linfa vitale al settore turistico-ricettivo di questi territori, martoriati da anni di crisi industriali e calamità naturali che hanno portato ad uno spopolamento sempre più grave, ed un supporto al pendolarismo tramite collegamenti funzionali e moderni con la Capitale. La ricostruzione, che in certe realtà parte dalle fondamenta stesse dei centri abitati, può essere un’occasione per ripensare i modelli tradizionali di sviluppo, utilizzando le più avanzate tecnologie ambientali, anche in relazione all’uso dell’idrogeno, per attuare il nuovo modello delle comunità energetiche introdotto dalla nuova direttiva sulle fonti rinnovabili.

Siamo alla vigilia della Presidenza italiana del G20 e l’avvio di progettualità integrate di tale respiro non può che beneficiare all’immagine del nostro Paese come vetrina del Green Deal Europeo e un modello da imitare a livello internazionale, dimostrando che l’Italia sa mettere in atto una visione di sviluppo di lungo periodo, soprattutto nei territori dove ve ne è urgente bisogno.



European Fuel Cell 2023 is coming Capri, 13-15 settembre SITO UFFICIALE
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